La relazione di Nucara al Cn/Ribadito il no ad un unico gruppo parlamentare

Essere leali verso gli alleati mantenendo la nostra identità

Relazione del segretario Francesco Nucara al Consiglio Nazionale. Roma, 30 maggio 2008.

Secondo Paul Ginsborg "per cambiare la politica dobbiamo mettere in discussione le bugie vitali su cui poggiamo la nostra esistenza".

Parto da questa definizione, per comunicarvi la mia ferma intenzione a che questo Consiglio Nazionale rappresenti "finalmente" il momento della verità.

Confermo in questa sede tutto quanto ho detto nella mia relazione al 45° Congresso del PRI e, nel dubbio che alcuni o molti abbiano dimenticato quelle parole, ricorderò alcuni di quei passaggi nella parte di relazione che si riferiva al Partito.

Enumero solo alcuni concetti:

"1) Un Partito moderno, comunque lo si giudichi, deve essere un partito di lotta, e deve esserlo al di là e al di sopra delle contingenze tattiche;

2) Tuttavia, per un Partito moderno non può essere il "cesarismo" la stella polare della sua organizzazione.

3) E'necessario che le decisioni siano condivise il più possibile, ma quando sono prese dagli organismi a ciò titolati, devono diventare strumenti di lotta politica.

4) E' necessario coniugare l'essere con l'apparire, tenendo soprattutto conto del carico pesante di cui ci onoriamo con tutta la nostra storia.

5) Nemmeno la sola intelligenza politica, per quanto forte, potrebbe assicurare ad alcuno la possibilità di dirigere un Partito."

Si chiudeva così la mia replica: "Qualcuno ha detto" - e di questo provo dispiacere - "ho bisogno del Partito, ma ricordate che io posso fare politica anche senza il Partito".

Io di contro concludevo: "So che non c'è altro cui io possa pensare se non al Partito Repubblicano Italiano".

La mozione congressuale, approvata all'unanimità con il contributo attivo di tanti amici, tra cui qualcuno che aveva ricoperto ruoli di primo piano nel Pri, tra l'altro affermava: "Ma la prospettiva su cui il Partito è impegnato è quella di superare l'attuale sistema che obbliga alla convivenza nella stessa coalizione di forze fra loro eterogenee, convivenza necessaria per vincere le elezioni, ma inadeguata per assicurare una guida politica capace di risolvere i problemi della società italiana".

Mi viene in mente Giovanni Bovio quando scrisse: "L'ideale è come un faro agli altri partiti che debbono temprarlo, modificarlo, correggerlo, avviarlo secondo l'indirizzo nazionale; ma, se noi vediamo l'ideale nella sua verità lucida e tendiamo a politicare intorno alle opportunità minori, noi usciamo dal tempo, non siamo più né il passato, né l'avvenire, ma un presente enigmatico che viene ad accrescere la confusione parlamentare".

Orbene, parliamo oggi del Partito, della sua collocazione in ambito parlamentare, guardando anche alle scelte della nostra storia recente.

Dal '94, il Partito Repubblicano Italiano si è sempre collocato nel Gruppo Misto.

Chi ha interesse a far vivere il Partito, deve dare un'idea generale della funzione dello stesso, e deve indicare le strade da percorrere che, oltre le idee, sono quelle organizzative e quelle finanziarie. Diversamente, il PRI, con la sua secolare storia, diventerebbe una delle tante fondazioni che ogni giorno nascono come funghi dopo la pioggia. Ma qui non stiamo a discutere di eventi atmosferici, ma di fatti politici.

L'ho detto tante volte e lo ripeto, può essere un'ipotesi - e non è la mia - quella di sciogliersi, ma si abbia allora il coraggio di dichiararlo con motivazioni di estrema e definitiva chiarezza. Anche perché, secondo alcuni studiosi, non esiste alcuna prova o controprova che la democrazia basata sui Partiti sia finita. Sarebbe già finita dopo vent'anni di fascismo, che invece è stato solo un tragico intervallo. Forse si ha bisogno di un maggiore impegno e di una ulteriore elaborazione della forma - Partito. A mio avviso i tempi sono maturi perché questo processo si riavvii.

Per dirla con Franco Venturi: "Il Partito Repubblicano è un Partito naturale, una forza che esiste perché risponde immediatamente ad una realtà sociale e spirituale, ben più che per l'azione che realmente esercita". Noi dobbiamo sapere se nelle nostre coscienze esiste questa forza spirituale o se invece dobbiamo scendere "dalla montagna alla palude".

I tanti repubblicani che si battono con enormi sacrifici nelle realtà amministrative locali vogliono restare nella montagna. Essi non chiedono finanziamenti ma incidono sui bilanci, talvolta poveri, delle loro famiglie ed accanto all'impegno finanziario, dedicano il loro tempo, subendo spesso le prevaricazioni da parte dei colonnelli dei nostri alleati.

Il patrimonio ereditato da chi vi parla, era già un patrimonio talmente scarso, che avrebbe convinto chiunque a rinunciare all'eredità. Tuttavia ci ha sorretto quella spiritualità di cui parla Venturi e l'idea di lasciare qualcosa di buono alle future generazioni.

Ciò che non tolleriamo sono l'egoismo, le bugie, l'ipocrisia.

Il nostro riferimento esclusivo è il militante repubblicano, colui cioè, che ci ha consentito di poterlo rappresentare in Parlamento. Anche perché, con questa legge elettorale, è solo ai repubblicani che dobbiamo rispondere e, se le nostre coscienze confliggono con i loro orientamenti, dobbiamo trarne le conseguenze.

A chi dice che può fare politica anche senza il PRI rispondo con molta sincerità e con le stesse parole che furono utilizzate nei confronti di Visentini, di Mammì, di Battaglia, di Bogi, della Sbarbati, di Ossorio, che furono tacciati di tradimento degli ideali repubblicani e di interesse personale.

Il segretario del PRI, sulla base delle scelte precedenti e dei deliberata congressuali, nel corso di un incontro con il leader del Popolo della libertà aveva comunicato la posizione dei repubblicani: no allo scioglimento del PRI nel PdL, no a liste comuni alle amministrative nel PdL, no ad un unico gruppo parlamentare. Posizione successivamente ed ulteriormente ratificata dalla Direzione del Partito e della quale era stato informato anche chi, a quella Direzione Nazionale, non era presente.

E' sembrata, quindi, del tutto ovvia e frutto di unanime consenso l'adesione al Gruppo Misto del Segretario del PRI. Adesione confortata dal voto, appunto unanime, del Comitato di Segreteria e da un successivo dibattito in Direzione Nazionale, che ribadiva la correttezza di comportamento e il giudizio politico positivo su tale scelta.

Dopo aver ricostruito con scrupolo e precisione estrema le vicende più recenti interne al nostro Partito è giunto il momento di interrogarsi sul futuro.

Lo scritto più celebre di Lenin è "Che fare?". Oggi questo è il nostro interrogativo. La strada ci è resa più facile ricordando un'intervista a "L'Espresso", nel settembre 1999, dell'allora Segretario del PRI. Quell'intervista fu oggetto della discussione al Consiglio Nazionale del 12/13 novembre 1999. Nell'introduzione al dibattito, l'allora Segretario ne spiegò il senso, sostenendo che sarebbe caduto ogni pregiudizio ideologico nei confronti del centrodestra. Egli tra l'altro affermava: ".…..se riusciamo a spiegare che un cattivo sistema elettorale, che verrà peggiorato dal referendum che costringerà ad omogeneizzare cose che nella storia italiana sono diverse, perché rappresentano diverse ispirazioni politiche e culturali ma perlomeno non ci venga chiesto di dire che noi condividiamo le opinioni dell'On. Cossutta perché non le condividiamo".

Dopo un intervento impegnato il Segretario propose allora tre temi: convocazione di un Congresso (peraltro chiesto a gran voce dalla minoranza), adesione al Trifoglio, autonomia delle federazioni regionali, chiedendo ai repubblicani - in altri termini alla base del partito - di decidere.

La strada era quindi tracciata fin da allora. Peccato che all'inizio del 2000 si tenne il Congresso a Chianciano e si continuò nell'ambiguità di sempre, anche quando Berlusconi offrì al PRI il posto nei listini regionali (alle elezioni del 2000) per sei – sette repubblicani. Posti che furono rifiutati. In Calabria invece i repubblicani presero in parola quell'intervista e alle regionali del 2000 si schierarono con il centrodestra e furono determinanti per la vittoria. Tuttavia nei cinque anni successivi furono la vera opposizione a un governo regionale alla cui vittoria pur avevano contribuito. E questo perché l'alleanza elettorale non poteva rappresentare e non rappresentò il vincolo del "signorsì".

La vera svolta avvenne invece a gennaio del 2001 a Bari, in un congresso contestato e contrastato, ma che fece uscire definitivamente il PRI dal limbo dell'indecisione permanente.

Il che non significa che si debbano confondere le alleanze elettorali e programmatiche con l'annientamento della nostra storia; cosa che tra l'altro, per quanto mi risulta, nemmeno Berlusconi vorrebbe. Non partecipo alla gara a chi è più amico del Presidente del Consiglio.

Sono piuttosto interessato a partecipare alla sfida per far rinascere il PRI, indebolito anche per cause oggettive fin dalla metà degli anni '90.

Se Berlusconi avesse avuto come obiettivo la scomparsa del nostro Partito (come – a mio avviso – lo ha avuto per altri) non ci avrebbe dato tanto spazio nelle istituzioni (forse addirittura eccessivo) nel periodo 2001-2006. E' probabile che quello spazio l'abbiamo ristretto noi stessi e si è consumato del tutto quando, dopo il 2006, c'è chi si è affrettato ad avviare un dialogo personale con la nuova maggioranza.

In questo momento della vita del nostro Partito, come ha tra l'altro deciso il Congresso di Roma, davanti a noi abbiamo una sola strada: rivendicare nei fatti la nostra autonomia, per valorizzare il nostro apporto politico, culturale e programmatico. Se qualcuno ha idee diverse, esistono gli strumenti statutari per determinare un cambiamento delle posizioni congressuali. Ma per valorizzare la nostra autonomia dobbiamo, per dirla con Bovio "definirci per non sparire".

A mio avviso abbiamo una sola possibilità: il progetto liberaldemocratico. Il 29 giugno 1926 il ventitreenne Ugo La Malfa su "Il Mondo" scriveva: "Un'Europa unita di fronte al mondo varrà più del prestigio tradizionale dell'Inghilterra e della Francia o dei vaghi desideri dei popoli bisognosi di ricchezza".

E due mesi prima di morire, in un comizio al Teatro Nuovo di Milano, il 4 febbraio 1979, così chiudeva il suo discorso: "Scopo supremo del PRI è oggi, come nel passato, fare dell'Italia una delle democrazie economiche e sociali più avanzate d'Europa, arrestando il processo di degradazione economica, sociale, civile, che l'ha investita quasi come una prolungata bufera negli ultimi dieci anni".

Parole profetiche a cui dobbiamo dare forza politica.

Potrebbe sembrare questo un esercizio fine a se stesso e invece tutti insieme dobbiamo decidere il da farsi, proseguendo e arricchendo il progetto liberaldemocratico, sulla scia dei deliberata congressuali, e facendo tesoro dello sforzo prodotto da tanti dirigenti repubblicani alla Conferenza di Milano, che ritengo un fiore all'occhiello per tutto il Partito.

Si tratta di un progetto esclusivamente teorico? Non direi. Se manteniamo l'orizzonte tipico di un partito politico, che non si esaurisce certo in una legislatura, la concretezza di questa prospettiva appare in tutta la sua portata. Non siamo al bipolarismo, né, tanto meno, al bipartitismo: almeno da un punto di vista strutturale. Forse ci arriveremo, ma la strada è ancora lunga ed impervia. Per il momento siamo in una sorta di limbo in cui le singole forze politiche mantengono la loro identità. E non parlo solo degli estremi: Lega Nord ed Italia dei Valori. Parlo dello stesso PdL e del PD.

Per questi ultimi raggruppamenti politici l'obiettivo di un unico partito rappresenta per alcuni una speranza declamata; per altri un incubo da scongiurare. In attesa che questo evento abbia l'esito sperato, ognuno mantiene le proprie posizioni, la propria struttura di partito, i propri legami ed i propri collegamenti. Possiamo discutere sui tempi della possibile unificazione. Scommettere se la fusione fredda, che ha segnato la nascita del PD, sarà in grado di partorire un nuovo partito politico. O se l'indubbio carisma di Silvio Berlusconi accelererà il processo, superando gli intralci, per così dire, della normale vita democratica che da sempre caratterizza la storia dei partiti politici italiani.

Noi riteniamo che qualsiasi progetto di unificazione non possa che essere preceduto da una "fase costituente". L'avvio di un processo in cui si discute degli elementi costitutivi della nuova formazione politica: dei valori che vuole far vivere, dei contenuti programmatici, delle strategie politiche da sviluppare nell'interesse dell'Italia. Elementi indispensabili non solo per radicare il Partito nella società, facendogli svolgere quel ruolo di cerniera tra la prima e lo Stato. Ma per selezionare un gruppo dirigente forte ed autorevole, capace di interpretare le aspirazioni del nostro popolo. Di comporre le contraddizioni che nascono nel suo seno e prospettare soluzioni adeguate per il futuro dell'Italia. Nonostante tutto restiamo convinti che la scelta di una classe dirigente non è un concorso di bellezza, ma un processo vitale che richiede intelligenza, passione politica ed abnegazione. Questo ci hanno insegnato i nostri padri. Questo vogliamo trasmettere ai nostri figli.

Non siamo contrari per principio ad un simile processo. Dobbiamo tuttavia rispettarne i tempi e la relativa maturazione. Quando verrà, ma soprattutto se verrà, vi parteciperemo con i nostri valori, convinti come siamo di portare con noi qualcosa di irripetibile. Se vi sarà posto per questi principi, aderiremo. Se ci si chiederà di abiurarvi continueremo la nostra battaglia su posizioni di autonomia. In attesa che il destino si compia, vogliamo rimanere, tuttavia, con le mani libere. La nostra lealtà nei confronti di Silvio Berlusconi è fuori discussione. Dirò di più: vogliamo aiutarlo con le nostre proposte ed anche con le nostre critiche – se sarà necessario – a risolvere i drammatici problemi che sono di fronte al Paese. E' giusta questa impostazione? Personalmente non ho dubbi. Ma allora la nostra posizione di attesa non può che trovare riscontro nel Gruppo Misto. Da lì aiuteremo il Governo quando opera correttamente – come nel caso del nucleare, in materia di sicurezza ed immigrazione, o per una politica economica rivolta al risanamento ed alla riduzione della pressione fiscale – ma lo aiuteremo ancor di più con la nostra critica costruttiva, qualora le misure annunciate risultassero inadeguate.

"La politica - come sostiene Dahrendorf - che insegue situazioni e umori contingenti, che scavalca i parlamenti e i dibattiti seri, consente certo rapidi cambiamenti".

Ma proprio perché sono rapidi i cambiamenti, la transizione non ha mai fine. Ci dobbiamo attrezzare, se ne siamo convinti, per fare una lunga e dura battaglia, se è vero e come tante volte è predicato (i predicatori non dovrebbero avere asilo politico nel PRI), che i repubblicani aspirano all'Europa dei popoli più che all'Europa dei governi.

Il Parlamento Europeo ha funzioni molto limitate e qualcuno potrebbe dubitare anche della sua legittimità democratica o pensare addirittura che serva a poco, tanto che da quando si è stabilita l'incompatibilità tra deputato europeo e deputato nazionale tutti optano per una rappresentanza nel Parlamento italiano.

Il PRI, a mio avviso, deve mantenere fede ai deliberata congressuali unanimemente approvati, e deve continuare a spendersi per la costituente liberaldemocratica. Qualcuno pensa di abbandonare queste prospettive adducendo molto semplicisticamente che, tanto, sarà posto lo sbarramento elettorale.

Io personalmente non mi fascio la testa prima di rompermela e poi, non credo che si metteranno sbarramenti di sorta. E' chiaro che in questo secondo caso dovremmo spenderci tutti perché certe ipotesi non si realizzino. Si può pensare legittimamente pensare che sia necessaria, nel Parlamento nazionale, una maggioranza ampia per consentire all'Esecutivo di governare con efficacia. Ma in Europa non è così, perché il Parlamento europeo non esprime alcun governo e svolge solo il ruolo di rappresentanza politica, con la sola formalità della fiducia alla Commissione.

Insomma nel Parlamento europeo l'esigenza della rappresentatività prevale su quella della governabilità al punto che perfino gli inglesi fanno ricorso per questo tipo di elezioni ad una legge proporzionale.

Ed anche per quanto riguarda gli sbarramenti che vi sono in Italia stiamo tra l'altro ragionando se sia praticabile il ricorso alla Corte Costituzionale che è chiamata a garantire l'esercizio politico anche alle minoranze.

In Germania è stato già presentato un ricorso in tal senso, che è stato parzialmente accolto dalla Corte di quel paese.

La Direzione Nazionale del 26 febbraio 2008 si è espressa favorevolmente alla candidatura nel PdL, con l'idea tuttavia che i parlamentari eletti avrebbero dovuto esercitare un ruolo autonomo per portare avanti, pur con gli evidenti possibili condizionamenti, idee e progetti repubblicani.

Come ben sapete, idee e progetti repubblicani richiedono tempi lunghi, e quindi è necessario perseverare. E' dannosa l'idea che a seconda delle circostanze del momento si debba modificare l'orientamento politico.

Tutte queste difficoltà non ci possono indurre a mollare una storia che per i repubblicani inizia nel 1837 e in tempi moderni prosegue con Carlo Sforza, Ugo La Malfa, Michele Cifarelli. L'obiettivo europeo fa parte del nostro Dna e certamente non ci faremo spaventare da sbarramenti di sorta, se consideriamo giusta la battaglia politica. Come sosteneva un rivoluzionario, se le battaglie sono giuste e sentite si vince anche quando si perdono perché altri le continueranno.

Panebianco sostiene: "La selezione delle élites politiche è stata sempre influenzata da gruppi di interesse. Il processo decisionale statale ha sempre funzionato attraverso contrattazioni fra partiti, gruppi di interesse ‘privati' e centri di potere istituzionale".

Ma è questo il modo di essere repubblicani?

Io credo di no. Penso che la storia repubblicana sia intrisa di quella spiritualità di cui parla Franco Venturi. E comunque in questo gioco di mediazione saremmo perdenti perché i nostri dirigenti e le élites di cui parla Panebianco li scegliamo noi, noi repubblicani, noi militanti repubblicani.

Noi abbiamo rappresentato e tuttora rappresentiamo interessi generali. Quando non fossimo più in grado di esercitare questo ruolo perché dovremo difendere il mondo bancario oppure quello assicurativo, i costruttori oppure gli industriali manifatturieri, allora si logora il partito in quanto organizzazione e ci si indebolisce su tutti i tavoli.

Come diceva Ennio Flaiano: "Piove sul sottoscritto/piove sul mittente/piove sul latore della presente".

Piove quindi su tutto e su tutti! Ripariamoci da questa pioggia con l'unico ombrello che abbiamo: "Il nostro Partito".